Milano funeral. Epitaffio per una metropoli che non sa pił vivere

Cosa succede quando un giornalista quarantenne si accorge che la sua città, Milano, non gli appartiene più? Cosa può scrivere un giornalista nel limbo, vent’anni dentro la città-culla, altri venti fuori, in provincia ma senza mai lasciare davvero Milano, quando capisce che la culla è divenuta una Babele che parla inglese perché ha dimenticato la propria lingua, parla di soldi ma affoga nella misera, parla di viaggi ma non sa uscire dai propri ghetti, ha rinunciato alle fabbriche, alla classe operaia per concentrarsi nella new economy dei nuovi ricchi, eterni idioti? Questo saggio, che si legge come un romanzo, testimonia di un cambiamento interiore suscitato da un mutamento esterno; la percezione che il patrimonio di ricordi, di atmosfere, di impegno, di speranze, di cultura offerto dall’unica metropoli europea d’Italia si è dissolto, irreversibilmente. Milano come ex avanguardia che si riscopre retroguarda di un Paese che affonda nelle proprie lacune, nei falsi miti dello sviluppo e dei problemi terribilmente reali, fra un’immigrazione selvaggia lasciata alla mercè di se’ stessa e sacche di povertà che si allargano mentre la ricchezza piove in sempre meno tasche, la degenerazione di una città dove, se stai in fila al self-service, puoi venire “scippato” dal cassiere che, “per fare prima”, ti strappa il portafoglio che già tieni in mano, lo apre, preleva la somma dovuta e te lo rende…

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